sabato 20 ottobre 2007

Intro

Be Sim-e Ab wo Wold wo Menfis Quddus Ahadu Amlak

Igziabher Adonay yitbarek.


Questo blog nasce dall’esigenza di offrire informazioni e condividere meditazioni attorno alla dottrina Rastafari ed ai principi e precetti che ne costituiscono la Livity (Esperienza di Vita).

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In etiopico antico la parola Negus significa RE; il titolo che abbiamo scelto, “Negus Messia”, intende pertanto palesare come il fondamento assoluto e la specificità stessa della dottrina Rastafari consistano e derivino essenzialmente dall’acquisizione di consapevolezza che il Re dei Re d’Etiopia Qadamawi Haile Sellassie è il Re Messia, il Consacrato divino che era stato annunciato dalla Bibbia (Antico e Nuovo Testamento) e che di quest’ultima costituisce a Sua volta compimento ed attuazione ultima.

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Occorre chiarire che la Sua identità di Messia non si pone a sostituzione o in antitesi con la Persona di Iyasus Krestos (Gesù Cristo), poiché al contrario i due Nomi manifestano la stessa Persona del Figlio di Dio in due avventi storici distinti, secondo quanto predetto dai profeti e dagli apostoli in merito alla seconda venuta del Cristo con un Nome nuovo (si veda la Rivelazione di Giovanni, ultimo libro del Nuovo Testamento, cap. 3, 12) per instaurare il Suo Regno escatologico, “il banchetto dei Santi sul Monte Sion”. Confessiamo dunque che il Re Messia Qadamawi Haile Sellassie è Iyasus Krestos / Gesù Cristo ritornato sulla terra per RESTAURARE la realtà fisica, inaugurare cioè il Regno Messianico di pace, giustizia e prosperità universali che deve essere governato dai Suoi santi/chiamati sino alla resurrezione ultima e al giudizio universale. Egli ha introdotto così l’umanità all’era escatologica, da intendersi non tanto come la fine della storia, ma invero come il suo vero e legittimo fine: la riedificazione della creazione alla sua beatitudine e perfezione originarie, precedenti la caduta di Adamo, mediante la restituzione dell’essere umano all’Immagine di Dio in base alla quale era stato in principio modellato.

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Giacchè il ritorno del Cristo doveva aver luogo in Gerusalemme/Israele, affermare che Qadamawi Haile Sellassie è il Re Messia presuppone a sua volta la conoscenza che l’Etiopia sia il Monte Sion, il Nuovo Israele biblico, la terra che Dio scelse -dopo la rottura del patto con il primo Israele che aveva rifiutato il Suo Cristo- per custodire la propria Alleanza sino ad ospitarNe il secondo avvento. All’epoca di Salomone, come narra il libro etiopico del “Kebra Nagast” (pronuncia K’bre Neghèst), una colonia di Israeliti migrò verso l’Etiopia importandovi le proprie tradizioni spirituali, culturali, cultuali, politiche, e insediando infatti alla guida del Paese la stirpe regale dei discendenti di Davide, quella da cui, secondo la Bibbia, sarebbe dovuto sorgere il Messia; da detta linea è infatti nato secondo la carne anche il Re dei Re Qadamawi Haile Sellassie.

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Tale status Israelita dell’Etiopia, lungi dall’esser morta tradizione folklorica, si è affermato con ininterrotta linearità nel corso della nobile storia del Paese, e continua tuttora a manifestarsi nella realtà visibile, come dimostrano tra l'altro:

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- le numerose profezie bibliche (circa 50 citazioni) relative al ruolo storico ed escatologico che questa terra doveva svolgere;

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- la presenza sino ad oggi sul suo suolo dell’Arca dell’Alleanza, considerata nella Bibbia come sigillo del patto di Israele con Dio, e la sussistenza colà, sino al XX secolo, della stirpe davidica messianica;

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- per ovvia conseguenza, il carattere peculiare della sua Cristianità, l’unica a seguire l’esempio degli Apostoli nell’armonizzare senza fratture l’annuncio di grazia del Nuovo Testamento con le disposizioni dell’Antico, ed a preservare pertanto nella sua indissolubile integrità l’autentica rivelazione Ebraico-Cristiana e le sue categorie concettuali, dottrinali e morali, insieme con sezioni importanti del suo patrimonio scritturistico perdute al resto dell’umanità (ad esempio, il libro di Henok);

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- ancora, il fatto storico innegabile che l’Etiopia sia stata l’unico Paese dell’Africa mai soggiogato all’anticristico colonialismo europeo, ponendosi con ciò a faro luminoso per tutte le popolazioni oppresse della terra e dunque a loro Madre spirituale.

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Il blog è in costante aggiornamento. Si prega di far riferimento all'elenco di fianco per consultare i vari articoli inclusi al suo interno, tenendo comunque presente che sarebbero necessarie visite periodiche per chi sia interessato alla tematica.

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Sibhat le Negus Mesih (Gloria al Re Messia)!

Il Messianismo

Nella sezione precedente ("Essenza della Livity") si è affermato che la Livity Rastafari si sviluppa entro la tradizione del Messianismo biblico, di cui riconosce il compimento nella Persona storica del Re dei Re Qadamawi Haile Sellassie. In ciò essa manifesta sia la propria radicazione Israelita che la propria contiguità con il (vero) Cristianesimo, Israelita a sua volta. Anche il gruppo dei discepoli di Cristo sorse infatti come movimento messianico: non si trattava inizialmente di una religione a parte, ma di un Cammino spirituale interno all'ebraismo, che tuttavia si distingueva da quest'ultimo proprio per aver riconosciuto nella Persona storica di Iyasus Nazrawi (Gesù di Nazareth) il Messia atteso in Israele. Allo stesso modo, la tradizione Rastafari, sostenendo che le numerose promesse messianiche non compiutesi al primo avvento di Cristo si siano compiute alla Sua seconda venuta in veste di Re dei Re, si colloca in tal senso rispetto al (vero) Cristianesimo al modo stesso in cui questo, alle sue origini, si poneva rispetto all'ebraismo. È così chiaro che un Rastafariano si senta pienamente Ebreo e pienamente Cristiano, o meglio un Israelita Etiope.

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È dunque utile una pur generale panoramica sul fenomeno messianico, a partire dal modo in cui esso figuri presentato nella Sacra Bibbia, cui noi facciamo riferimento secondo il canone etiopico sancito dal Re dei Re stesso nell’anno 1953 E.C. (1960/61; per informazioni al riguardo visitare il link: Canone biblico etiopico): vi sono dunque inclusi, in ossequio alla millenaria ed autorevole venerazione di cui tradizionalmente godevano presso la Cristianità etiopica, alcuni libri aggiuntivi rispetto al canone romano-cattolico; tra questi, risultano cruciali ai fini della trattazione messianica, nello specifico, il Libro di Henok (Metzhafe Henok), il Libro dei Giubilei (Metzhafe Kufale) e l’Apocalisse di Ezra (Ezra Sutu’el), che saranno qui citati, com’è dunque ovvio, con riconoscimento di piena e vincolante autorità canonica.

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Chi è il Mashiach (Messia)?

Non sarebbe errato affermare che la Sacra Bibbia sia un libro orientato al Messia, imperniata cioè sul fondamento che la regalità di Dio, da essa proclamata in ogni singola lettera, si sarebbe un giorno manifestata nel mondo visibile e nella storia umana per mezzo di un Uomo divino, il Mashiach (Messia); il compito di Questi sarebbe consistito nel ricucimento dell’originale comunione tra Dio e uomo, frantumata dal peccato, e dunque nella restaurazione della realtà alla sua perfezione primigenia, allo stato di beatitudine e prosperità in cui era stata originariamente pensata ed attuata dal Creatore prima che la trasgressione umana intervenisse a contaminarla. E’ dunque necessario comprendere che la redenzione messianica, seppur prospettata dalle Scritture come un evento storicamente riservato al tempo futuro, vi è comunque concepita, sotto il profilo ontologico, più come moto di ritorno che non come evoluzione progressiva, essendo l’assenza del male nella natura e l’Immagine di Dio nell’Uomo condizioni naturali che necessitano di essere riacquisite piuttosto che introdotte. Il Messia è dunque l’Adam Kadmon (Qadamawi), l’Adamo primigenio: con ciò non si intende, sia chiaro, che Egli si identifichi personalmente con l’Adamo che operò il peccato, ma al contrario che incarni l’Adamo Edenico precedente al peccato, ossia l’Uomo dall’originaria e indivisa intenzione divina, l’Archetipo dell’Uomo rispondente all’intenzione e volontà di Dio.

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Anche dopo la loro divisione, le tradizioni giudaica e cristiana concordano nell’attribuire all’intera Scrittura questo senso massimamente messianico: se il Cristo fu accolto dai propri discepoli come “Colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i profeti” (Giovanni 1, 45), il Talmud sa bene che “tutti i profeti profetizzarono soltanto in riferimento ai giorni del Messia” (Berachot 34b; Sanhedrin 99a). In generale, i profeti annunciarono che ai tempi del Mashiach (yemot ha-Mashiach) si sarebbe verificato un rinnovamento spirituale talmente radicale da condurre gli esseri umani a dimorare alla presenza di Dio come era stato per i loro progenitori Adamo ed Eva prima dell’espulsione dal Giardino di Eden. Proprio in conseguenza di questo benefico rinnovamento del rapporto con Dio anche le relazioni degli esseri umani tra di loro e con il resto del creato sarebbero state finalmente risanate, producendosi di ciò segni storicamente tangibili: per citarne soltanto alcuni tra i più rilevanti, la guerra e le violenze avrebbero cessato di esistere, i poveri e gli afflitti sarebbero stati riabilitati, la giustizia sociale avrebbe prevalso universalmente, la conoscenza di Dio avrebbe riempito la terra come l’acqua ricopre il fondo dei mari e persino la natura avrebbe tripudiato al sopraggiungere di quel giorno. Ciò che ne risultava in sintesi significato è che l’avvento del Mashiach avrebbe in un modo o nell’altro segnato un’irruzione di Dio nella storia assolutamente superiore a quelle, pur salvifiche e prodigiose, sino ad allora esperite da Israele, e per mezzo di quest’ultimo dall’umanità tutta.

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Queste aspettative lasciano già intuire quanto la missione del Messia sia concepita, nelle Scritture, in termini fisicamente concreti, come un evento da realizzarsi dunque nella storia e nella realtà visibile, entro i confini del tempo e dello spazio. La mentalità ebraica non avrebbe potuto neppure concepire un’idea di redenzione che riguardasse esclusivamente l’interiorità umana o il mondo spirituale, in quanto non intende le relazioni corpo/anima e terra/cielo secondo gli schemi oppositivi e divisivi che sono invece propri della visione occidentale del mondo, dovuti infatti all’influsso di categorie filosofiche dualistico-pagane sul cristianesimo occidentale; Adonay (il Signore) si era presentato a Israele per la prima volta con un atto salvifico tutt’altro che privo di implicazioni secolari - la liberazione degli Ebrei dalla schiavitù egiziana, spirituale e morale certo, ma sociale e politica nondimeno- e così anche l’avvento del Messia avrebbe dovuto investire la realtà a tutti i suoi livelli.

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Cosa significa il titolo “Mashiach”?

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Letteralmente la definizione di Mashiach indica chi sia distinto dall’ordinario e consacrato mediante un atto di unzione sacramentale. Essa poteva perciò applicarsi ad individui introdotti ad una speciale relazione con lo Spirito di Dio in funzione di specifici compiti religiosi, politici, sociali, come nel caso di sovrani, sacerdoti e profeti. Nondimeno varie occorrenze chiariscono che la dignità “messianica” così intesa potesse essere anche direttamente conferita da Dio a prescindere da qualsivoglia mediazione istituzionale e/o cultuale umana, ed in tal senso il titolo può riferirsi in generale a quanti si trovino in uno stato di particolare prossimità spirituale all’Eterno. In ogni caso, nella Bibbia è soltanto in riferimento al sovrano che esso figura in forma sostantivata, altrove utilizzandosi soltanto come aggettivo; in altri termini, mentre si poteva parlare di un sacerdote o di una devoto unto/messia, il re soltanto veniva nella società del tempo apostrofato come Meshiach ELOHIM, l’Unto di Dio per eccellenza.

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Questo ci aiuta a comprendere come mai anche il Redentore del futuro divenne noto come Mashiach. Giacché infatti le primissime profezie Lo mettevano in relazione al concetto di regalità, annunciando in seguito che si sarebbe trattato di un RE della stirpe di Davide, divenne presto chiaro che Egli sarebbe stato Mashiach / Consacrato al modo dei Suoi antenati regnanti terreni; poiché tuttavia la Sua unzione era di gran lunga più autorevole, compiuta da Dio in persona per mezzo del Suo Spirito (Isaia 11), si sarebbe trattato non più di un qualsiasi mashiach transitorio, ma del Messia vero ultimo perfetto, il Maschiach del quale i messia passeggeri erano stati incompiute prefigurazioni.

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La discendenza del Messia

La storia sacra matura progressivamente una serie di segni funzionali al riconoscimento del Messia tra gli uomini. Il primo è che Egli sarebbe stato un nato da donna, giacché soltanto un essere umano avrebbe potuto operare la riconciliazione dell’umanità tutta con Dio a seguito del peccato originario; essendo infatti compito del Messia la riparazione a questa frattura, tradizione ebraiche e proto-cristiane concordano nell’interpretare in senso messianico le parole pronunciate dal Signore contro il serpente tentatore proprio al momento dell’espulsione degli antenati dall’Eden, appena dopo cioè il verificarsi del peccato stesso: “E io porro inimicizia fra te e la donna e fra il tuo seme e il seme di lei; questo ti schiaccerà il capo” (Genesi 3, 15). Il seme di lei deve così intendersi come simbolico riferimento al Messia, che nel Suo avvento escatologico doveva schiacciare il capo al serpente, personificazione del peccato e delle sue conseguenze a tutti i livelli di esistenza.

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L’elezione di Israele, realizzata con la chiamata di Abramo e dei patriarchi suoi eredi, deve comprendersi come categoria teologica e sfrondarsi perciò delle sue strumentalizzazioni etnico-nazionalistiche: con ciò non si intende affermare –lo ripetiamo- che la promessa che ne consegue sia priva di implicazioni sul piano secolare, ma soltanto che il suo concetto vada giustamente interpretato come consacrazione di una nazione –quella ebraica- alla sacra missione di custodia del patto divino in vista della salvezza di tutte le genti, e non dunque in quanto preferenza espressa da Dio nei confronti di una singola entità etnica o politica; sovente fraintesa come la più angustamente nazionalistica tra le dottrine della Bibbia, quella dell’elezione risulta al contrario costituirne il cuore universalistico, e non è un caso, infatti, che al momento della sua elezione Israele neppure esistesse fisicamente, essendo soltanto un potenziale contenuto nei lombi di Abramo e prefigurato nei suoi atti di fede e nelle sue opere di giustizia. Ciò posto, si comprende allora che una simile promessa -proprio per il suo carattere marcatamente universalistico, palesato dalle parole rivolte al patriarca: “In te saranno benedette tutte le stirpi della terra”- acquisisca significato soltanto nella prospettiva messianica, essendo quest’ultima l’unica a garantirne la realizzazione; oltre che un essere umano, dunque, il Messia avrebbe dovuto essere un Israelita, un discendente dei patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe (Genesi 12, 2; 18, 18; 28, 14).

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Profezie messianiche immediatamente successive iniziano a delineare la connotazione regale del Messia; Egli sarà cioè, in ebraico, ha-Melekh ha Mashiach (Re Messia, in etiopico: Negus Mesih). Il nipote di Abramo, Giacobbe/Israele, profetizzò che tra i suoi dodici figli, capostipiti delle altrettante tribù componenti il popolo di Israele, alla stirpe di Judah sarebbe spettato ospitare la regalità, e più specificamente, in seno a questa, il seme messianico (Genesi 49, 10): “Lo scettro non sarà rimosso da Yihuda né il bastone del comando tra i suoi piedi fino a che venga Shiloh/Colui al quale spetta l’obbedienza dei popoli”. Ancora nella Torah, nel libro dei Numeri, si parla del Messia come di “un astro che spunta da Giacobbe, uno scettro da Israele” (Numeri 24, 17). Sul finire dell’epoca degli shoftim (i “giudici”), la madre del profeta e nazireo Samuele, Anna, soggetta ad ispirazione, preannuncia che “il Signore giudicherà le estremità della terra, e darà forza al Suo Re, innalzerà la Potenza del Suo Mashiach”; tale passo è cruciale, potendosi a buon diritto considerare la prima evenienza biblica in cui al sovrano e redentore escatologico venga letteralmente applicato lo specifico titolo di Mashiach (ISamuele 2, 10).

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Il successivo e definitivo segno per il riconoscimento del Messia affermatosi nella storia sacra è che Egli sarebbe stato un discendente di Davide, il giusto e devoto sovrano di Israele cui Dio aveva appunto concesso questa promessa, l’Alleanza Messianica, espressa nella Bibbia in innumerevoli occasioni (si veda per le principali: Salmo 89; II Samuele 7; I Cronache 17, 11-14; II Cronache 6, 16; Salmo 18, 50; Salmo 61, 6; Salmo 63, 11; Salmo 78, 70; Salmo 122, 5; Salmo 144, 10). Per quanto Davide possa aver in parte meritato tale elezione a motivo della propria rettitudine, anche in questo caso, similmente a quanto affermato in merito all’alleanza abramica, la selezione di una stirpe specifica per la nascita del Messia non deve certo intendersi come preferenza familiare assoluta da parte di Dio, trattandosi al contrario di una scelta mirata a provvedere i segni utili al riconoscimento del Salvatore in cui gli uomini di ogni luogo ed epoca dovranno riporre speranza. Tale promessa, inoltre, non si pone in antitesi con le precedenti, ma anzi le completa, giacché la famiglia davidica, oltre a discendere ovviamente da Abramo, si collocava più specificamente nella stirpe di Judah cui Giacobbe aveva, come si è visto sopra, promesso la regalità.

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Nella mentalità ebraica, pertanto, nessun individuo privo della discendenza davidica avrebbe mai potuto pretendere uno status messianico, e sino ad oggi ciascun candidato messianico della storia ebraica – che fosse veritiero (nostro Signore Iyasus Krestos) o falso (Bar Kosiba, Shabtai Tsevì, Rebbe Schneerson, ecc.) è stato sempre presentato come un davidide dai suoi discepoli. Per quel che riguarda il vero Messia, due dei quattro Vangeli cristiani si aprono attestando appunto la discendenza di Iyasus (Gesù) da David, a dimostrazione del carattere cruciale di tale prerequisito, in assenza del quale, anche a voler proporre una valutazione meramente storica, nessun Israelita avrebbe potuto prendere in considerazione la Messianicità di Quegli; allo stesso modo, tutti gli Etiopi sanno dalla propria Tradizione Vivente che Qadamawi Haile Sellassie discende legittimamente da Davide tramite il figlio di questi Salomone, come attestato tra l’altro nel K'bra N'ghest, essendo questo uno dei fondamentali caratteri costitutivi dell’Etiopia in quanto Nuovo Israele biblico, ed è per questa ragione che il motto della monarchia etiopica, antica di 3000 anni, affermava che "il Leone ha prevalso dalla tribù di Judah".

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Varie tipologie messianiche

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È evidente e accettato che la Bibbia, in quanto insieme complesso di libri, descriva il Messia secondo modalità varie, sostanzialmente categorizzabili, sulla base dei loro parametri, in alcune tipologie principali cui potrebbero affiancarsene altre ausiliarie. Se complesso, tuttavia, la Bibbia è altresì insieme organico, e in merito a tale categorizzazione non bisogna dunque confondersi: le varie tipologie possono essere sì giustamente individuate e isolate, ma per convenzionale finalità descrittiva e funzionale accomodamento alla limitata comprensione umana. In quanto fedeli di mentalità biblica non accettiamo dunque la tendenza storico-critica a ritenere dette tipologie come rimontanti a concezioni originariamente parallele se non opposte, giacchè ciò equivarrebbe ad una negazione della profezia; piuttosto, comprendiamo che l’incommensurabilità della Persona messianica e la complessità della Sua missione, irrisolvibili in un’unica modalità descrittiva, abbiano giustamente ricevuto trattazioni diverse da parte dei singoli autori biblici in accordo alle rivelazioni e ispirazioni da essi ricevute. Così posta la questione, le varie tipologie risultano dunque assolutamente complementari.

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La principale tipologia messianica così individuabile è Messianico-Regale, quella cioè di cui si sono già sin qui descritte le fasi iniziali, ma che fu notevolmente ampliata nella successiva epoca profetica. Si tratta del paradigma descrivente il Messia, appunto, come un Re discendente dalla stirpe di Davide che dovrà regnare sul trono da questi inaugurato; nonostante il cristianesimo abbia, per ragioni politiche (teologia imperiale bizantina) e filosofiche (spiritualismo ellenistico), spiritualizzato ogni aspettativa in merito, non vi è alcun dubbio che le numerose espressioni bibliche descrivano il Re Messia come sovrano operante nella realtà fisica, anche politicamente, e parimenti il suo governo come un’entità storico-politica concreta. Si è definita questa tipologia come principale non soltanto in quanto è la più diffusa e radicata nella Bibbia, cui sovente le altre si affiancano in un ruolo ancillare, ma soprattutto perché è invero da essa che la stessa categoria concettuale e linguistica di “Messia” prende sostanza, essendo storicamente mashiach, come si è visto, proprio il titolo cerimoniale dei sovrani dividici.

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A questo paradigma si affiancano altre due tipologie comunque primarie per rilevanza e ricorrenza, quelle definite, dal carattere messianico che descrivono, del “Figlio d’Uomo” e del “Servo Sofferente”, la prima riconducibile alle esperienze mistiche incorporate nella letteratura apocalittica, l’altra principalmente descritta in alcuni capitoli del libro di Isaia pur non mancandone espressioni anche altrove. Su queste tipologie si tornerà a tempo debito e le loro connotazioni risulteranno allora più chiare.

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Quali sono i caratteri del Re Mashiach secondo la Bibbia?

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Soffermandoci per ora principalmente sulla tipologia regale e leggendo la Bibbia da una prospettiva complessiva –prescindendo cioè in questa sede, per ragioni di sintesi, da una considerazione dei successivi tempi in cui la manifestazione storica dell’aspettativa si sia articolata- si possono individuare i seguenti tratti come elementi preminenti e caratteristiche principali dell’identità del Melekh ha-Mashiach / Re Messia (Nota: chi sia interessato seriamente alla comprensione delle realtà enunciate dovrebbe consultare effettivamente i passi biblici di seguito elencati e associati ai caratteri messianici, risultandone altrimenti ogni profonda percezione delle stesse inevitabilmente compromessa):

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1- Il Messia dovrà essere un discendente della tribù di Judah, e più precisamente un Regnante della stirpe di Davide. Egli insedierà un regno storico nella realtà fisica, sedendo personalmente sul Trono davidico; una Regina sarà inoltre al Suo fianco qual sposa e Gli recherà prole (Genesi 49,10; Giubilei 31, 19-20; I Samuele 2, 10; II Samuele 22, 51; II Samuele 7, 12-14; Salmo 45, 1-8; Salmo 72; Salmo 132, 11. 17-18; Isaia 9, 1-6; Isaia 32, 1; Isaia 11, 1-5; Isaia 16, 5; Geremia 23, 5-6; Ezechiele 34, 23-25; Zaccaria 6, 12-13; Amos 9, 11-12; Osea 3, 5; Geremia 33, 23-26).

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2- Al Suo avvento gli muoveranno guerra le nazioni avide di dominio e bramose di opprimere la terra ed i suoi abitanti, contro la volontà di Dio. Tuttavia Egli prevarrà, le ammonirà nel diritto e nella giustizia con la Parola della Sua bocca causando la loro disfatta e manifestando la rettitudine del Suo Regno Cristico contro l’iniquità su cui poggiano i domini anticristici; (Salmo 2, 1-9; Zaccaria 14, 1-5; Salmo 48, 3-8; Salmo 110, 1; Apocalisse di Ezra 13, 30-38; Henok 48, 8.10; Henok 62, 2; Apocalisse di Ezra 12, 31-34; Isaia 42, 1-4; Isaia 11, 4-5; Isaia 2, 17).

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3- A seguito di ciò, Egli manterrà un Regno di Pace in virtù del quale i popoli giungeranno a disimparare l’arte della guerra e a mutare i loro strumenti bellici distruttivi in utensili produttivi per il miglioramento della specie; Egli stesso sarà supremo mediatore e operatore di pace (Henok 52, 8-9; Salmo 46, 9; Isaia 2, 4: Isaia 9, 6; Isaia 11, 6; Isaia 52, 7; Zaccaria 9, 10; Michea 5, 5; Salmo 72, 7).

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4- Il suo avvento segnerà il rimpatrio dei dispersi di Israele dai quattro angoli della terra. Allo stesso tempo, però, in Lui saranno radunate anche tutte le altre nazioni, che allora guarderanno all’Unico Dio, al Suo Tempio e alla Sua Santa Gerusalemme (Geremia 23, 7-8; Geremia 30, 9-10; Apoc. Ezra 13, 39-40; Neemia 1, 9; Salmo 14, 7; Salmo 53, 6; Salmo 147, 2; Isaia 2, 1-5; Isaia 11, 12; Isaia 25, 6-8; Isaia 56, 8; Ezechiele 11, 17; Ezechiele 20, 34; Sofonia 3, 10; Geremia 33, 23-26; Isaia 49, 22; Isaia 56, 7).

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5- Il Mashiach è un Essere Umano in carne ed ossa, ma allo stesso tempo è realmente e pienamente Dio, di natura eterna e pre-esistente, e non un semplice uomo mortale. Pertanto Egli riceve titoli divini, e persino il Nome esplicito, il Tetragramma descrittivo dell’essenza di Dio e dunque inapplicabile dalle Scritture a chiunque che non sia l’Altissimo in persona, chiamandosi così ADONAY TSADKENU /Adonay nostra giustizia (Pre-esistenza: Henok 48, 3. 6; Henok 62, 6-7; Apoc. Ezra 12, 31-34; Salmo 110, 3; Michea 5, 2; Dio nella carne: Isaia 42, 13; Henok 25, 3; Giubilei 1, 26-28; Isaia 48, 12-14. 16; Isaia 52, 8; Ezechiele 37, 26-28; Michea 5, 1-4; Zaccaria 2, 10-11; Zaccaria 14, 9; Ezechiele 34, 11; chiamato ADONAY TSADKENU: Geremia 33, 16; chiamato EL GHIBBOR / Dio Potente: Isaia 9, 6; chiamato EMMANUEL / Dio con noi: Isaia 7, 14; 8, 8; chiamato ELOHIM / Dio: Salmo 45, 6 il Suo Nome è la salvezza: Henok 48, 7; Salmo 72, 17).

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6- Il Suo Regno è Eterno e Universale (Daniele 7, 13-14; Salmo 72, 5-7; II Samuele 7, 16; Salmo 45, 17; Isaia 2, 3; Isaia 25, 7; Isaia 56, 7).

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Nota: la ricerca storico-critica contesterebbe qui che le citazioni da Henok e Daniele non sarebbero propriamente da riferirsi alla tipologia davidico-regale. Dissentiamo tuttavia con questo punto non soltanto a motivo del suo fondamento speculativo –non essendo, come si è detto, le varie tipologie artificiosamente e radicalmente separabili, e riferendosi esse a un unico Messia, è inevitabile che si intersechino e sovrappongano fluidamente- ma anche nel suo contenuto specifico, dal momento che: 1) il Figlio d’Uomo ampiamente descritto in Henok è denominato due volte mashiach nel libro, con chiaro riferimento dunque alla Sua unzione regale, e la Sua intronizzazione vi è ripetutamente menzionata; 2) il Figlio d’Uomo in Daniele fu sempre inevitabilmente identificato con il Re Messia davidico lungo tutta la storia interpretativa d’Israele, come attestano ancora le fonti giudaiche, ad esempio un dibattito che coinvolge Rabbi Akiba (TB Hagiga II, 1, 14 a) o altri scritti rabbinici quali TB Sanhderin 96b e Tanhuma Toledoth 20 (70b); per contro, l’attitudine interpretativa caratterizzante il giudaismo odierno di identificare questo Figlio d’Uomo con il popolo di Israele è attestata solo a partire da epoca molto tarda, medievale, e molto probabilmente sorta dunque in polemica con il Cristianesimo.

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Più avanti sarà nostro compito esaminare questi punti singolarmente, rilevandone il compimento nella vita terrena del Re Messia, Qadamawi Haile Sellassie. È ora possibile prendere in considerazione le altre, non meno importanti, tipologie messianiche presenti nelle Scritture Sacre.

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A seguire: il Messia Figlio dell'Uomo nei libri di Daniele, Henok, 4Ezra;

il Messia Servo Sofferente nella tradizione biblica.

Essenza della Livity

Sebbene la fede Rastafari si sia manifestata alla storia soltanto nel XX secolo, a seguito dell’Incoronazione del Re Messia (2 novembre 1930), essa si pone nel solco della Rivelazione inscritta dall’Unico Dio nella Sacra Bibbia, affidata ai profeti sin dai tempi dell’Antico Testamento e dunque, all’epoca del Nuovo, “trasmessa definitivamente ai santi” (Lettera di Yehuda / Giuda v. 3). Trattasi dunque del rinnovamento di un’essenza antica, il compimento e la rivitalizzazione della medesima fede Israelita che fu rivelata ai patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, tramandata dai profeti, tra i quali Mosè ed Enoch, custodita da sovrani quali Davide e Salomone, realizzata infine nell’Avvento del Figlio di Dio, Iyasus Krestos (Gesù Cristo), Verbo del Padre, nato dalla Vergine Maryam (Maria). Questa stessa fede preservò la propria originaria vitalità e straordinaria attualità nell’insegnamento della Cristianità etiopica e nella realtà quotidiana dei suoi fedeli, custodi di una tradizione antica quanto la presenza stessa dell’uomo sulla terra; proprio in Etiopia, la Vera Israele Africana, la rivelazione fu infine sigillata nel Secondo Avvento dello stesso ed unico Messia con il Nuovo Nome di Qadamawi Haile Sellassie, incoronato Re dei Re, Signore dei Signori, il Leone che ha prevalso dalla tribù di Judah, 225° erede nella linea di Davide. La nostra dottrina si inserisce insomma nel solco delle precedenti Rivelazioni divine, che presero forma storicamente nell’Ebraismo e nel Cristianesimo, costituendone tuttavia uno stadio ulteriore, un’espressione rigenerata e rinnovata.


La manifestazione di Cristo come Re dei re guida l’uomo alla riacquisizione della sua originaria ed autentica sovranità sulla propria tripartita natura ontologica (corpo-anima-spirito): sono gli uomini in Lui rigenerati, infatti, i re dei quali Egli è Re. In principio Dio creò Adam come Uomo perfetto, disegnandolo a somiglianza della propria Immagine e costituendolo Re, Sacerdote e Profeta per governare la creazione in qualità di Suo rappresentante; con la trasgressione di Adamo si produsse il peccato, teologicamente inteso come frattura con Dio: l’inquinamento dell’Immagine divina che nell’Uomo era impressa rende questi tuttora incapace di riconoscere la propria vera origine in Dio stesso, l’Essere necessario fonte dell’esistenza. Il male, la morte ed il conflitto sono alcuni tra i segni che manifestano questa frattura sul piano visibile. Soltanto il Messia, che è il secondo e perfetto Adamo, poteva ricomporre questa frattura, riconciliando l’umanità al Padre mediante l’espiazione della Croce, sconfiggendo definitivamente la morte nella propria resurrezione, e dunque re-intronizzando, con il Suo secondo avvento glorioso, l’Uomo alla propria originaria regalità, restaurando la realtà fisica ed avviandola ad un processo di ri-definizione alla luce dei criteri di pace e prosperità in accordo ai quali Dio l’aveva originariamente concepita. In questo senso il Regno di Dio è già concretamente instaurato sulla terra a partire dall’Incoronazione Regale del Suo Cristo, ed è nostro compito, qual Suoi ministri, attuarne la realizzazione visibile, non mediante l’imposizione o la forza bruta, ma istruendo le nazioni con il ministero profetico della Parola che ci è stata rivelata. Questo compito deve dunque comprendersi nella sua articolazione su tutti i livelli dell’esistenza, spirituale e materiale, religioso, politico, sociale, investendo così della sua metanoia (capovolgimento redentivo) l’agire in tutti i suoi ambiti, la teologia come il diritto, la speculazione filosofica come la produttività agricola, le scienze bibliche come quelle mediche.


Tradizionalmente la regalità è concepita secondo un movimento discendente: un carisma divino, ma per sua stessa natura orientato alle incombenze secolari; una missione di origine sacra, eppur ancorata alla sfera terrena. Similmente, essendo Cristo dal Padre, il Suo avvento in veste di Sovrano ha santificato definitivamente la realtà fisica, offrendo all’uomo la possibilità di servire Dio in ogni azione quotidiana e di non vivere più le proprie responsabilità sociali e secolari come momenti di alienazione dalle proprie prerogative spirituali. Tale realtà è da noi espressa nel concetto di Livity, un’esperienza del Sacro nella propria esistenza che guidi al ristabilimento della parentela dell’Uomo con Dio, unica risposta all’odierna degenerazione dell’umanità: soltanto l’amore incondizionato per Dio e la consapevolezza della Sua Paternità universale possono infatti ispirare un reale amore per i nostri simili esseri umani, che di Dio recano l’Immagine, ed instaurare una salda coscienza del valore sacro della vita di ogni singolo individuo, divenendo pietre angolari per l’edificazione di una società umana protesa al progresso ed al benessere della specie entro i vincoli della condivisione e del rispetto. Come ai tempi dell’antico Israele i profeti dedicarono la vita ad insegnare che la giustizia sociale sarebbe giunta soltanto con il ritorno a Dio, così noi insegniamo che sino a quando il genere umano non si volgerà in integrità di corpo-mente-spirito a partecipare dei frutti escatologici della Rivelazione sarà vano ogni tentativo di fondazione di un ordine mondiale più equo e fondato sull’eguaglianza e l’unità tra gli esseri umani, che è la volontà di Dio espressa dal Suo Messia Qadamawi Haile Sellassie.

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Il Rasta è chiamato a vivere l’esistenza come un dono per grazia di Dio e a santificare ogni azione per realizzarne la pienezza. Ogni opera sia rendimento di lode al Misericordioso Datore della vita. Non esiste parola umana in grado di esprimere almeno una scintilla della bontà del Creatore dell’universo per i benefici di cui ci ha investiti con le Sue opere, che Gli rendono testimonianza, come afferma il Salmo: “I cieli narrano la Gloria di Dio e il firmamento manifesta l’opera delle Sue mani”. Dalle Scritture sappiamo che tutto nella creazione è buono e nulla da rigettare, e che Dio non ha creato la morte, che è soltanto l’esito di quanto l’uomo ricerca con le proprie azioni inconsulte; per contro, la missione del giusto (tzaddiq) su questa terra è l’esperienza del Suo Amore e la condivisione di tale esperienza con i propri simili ai fini di un’esistenza pacifica, serena, prospera, armonica. È questo il vero martirio, ossia la testimonianza della deità di Cristo mediante un’esistenza realmente cristica. Adhonay, il Dio della Bibbia, è il Dio dei vivi e non dei morti, ed è pertanto in questa vita che il cammino della salvezza deve avere inizio; la ricerca della comunione con Lui e la conseguente partecipazione alle Sue energie sono gli unici fondamenti per un’esistenza che sia davvero benefica per sé e per gli altri, per la vita in questo mondo e nel mondo a venire. Così, ogni azione risulta santificata allorché compiuta nel ricordo di Dio, e ciò per inverso implica che ci si ricordi di Dio non soltanto in momenti quali la preghiera o il culto, ma altresì e nondimeno negli ambiti dell’agire secolare: agendo verso i propri simili secondo i Suoi precetti di giustizia, difendendo i diritti degli oppressi e dei deboli, facendo della carità il metro delle proprie relazioni sociali, amministrando le risorse della terra secondo equanimità e lungimiranza e con riverente devozione, riconoscendo nella propria corporeità il Tempio dello Spirito e onorandone pertanto la sacralità nei propri comportamenti alimentari, sessuali, estetici, igienici.

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Contestualizzazione biblica di Rastafari


Giungiamo con ciò al retroterra biblico su cui la dottrina Rastafari è sorta e si regge, sintetizzabile nel suo essere il compimento dei corsi biblici, profetici e storici cui si fa convenzionalmente riferimento secondo le definizioni di Messianismo e Millenarismo.


Per Messianico si intende la sua ferma adesione all’ideale, su cui si incentra l’intera storia dell’Israele biblico, secondo cui ad un certo punto Dio sarebbe intervenuto nella storia per restaurare la creazione allo stato buono ed incorrotto in cui era stata originariamente realizzata. In quanto rivendicazione ultima della signoria divina sulla storia e sul mondo, tale intervento si sarebbe dovuto realizzare concretamente nella realtà fisica, entro i confini del tempo e dello spazio, per mezzo di un Individuo specificamente inviato e dotato di un carisma ultraterreno. La maggior parte delle descrizioni messianiche dell’Antico Testamento ruotano attorno all’idea che Costui si sarebbe manifestato come RE della stirpe regale di David, avendo Dio concluso con quest’ultimo uno specifico patto in merito. Giacchè il sovrano davidico era noto nella società ebraica antica come Meshiach Elohim – Unto di Dio, in riferimento al rituale sacramentale da cui derivava la propria autorità sacrale- questa associazione equivale di per sé ad asserire che anche il Salvatore del futuro sarebbe stato Mashiach, ossia Consacrato mediante un atto di unzione simile, ma invero di gran lunga superiore a quello in uso per i sovrani ordinari.


Con la definizione di Millenarista si intende il naturale prosieguo di queste realtà nella Cristianità delle origini, sorta in un contesto legittimamente Israelita. Poiché il Cristo Iyasus (Gesù) non aveva adempiuto nella realtà visibile molte delle profezie dell’Antico Testamento, ed in particolar modo proprio quelle riferite alla sua intronizzazione storica da Regnante davidico, tra i primi Cristiani si affermò la consapevolezza che la sua missione fosse stata scaglionata in due avventi terreni; nel futuro escatologico, il Cristo sarebbe dunque ritornato in terra per instaurare un regno nell’eone presente, e dunque in un tempo distinto e precedente al giudizio universale, cui Egli stesso avrebbe presieduto soltanto in un terzo tempo. Siccome il libro della Rivelazione, che è la sezione del Nuovo Testamento che prioritariamente si occupa della descrizione di questi eventi, attribuisce a questo inter-regno una durata simbolica di 1000 anni, la concezione prese il nome di millenarismo.

La dottrina Rastafari sorge attorno alla consapevolezza che entrambe queste tradizioni profetiche siano state realizzate nella Personalità storica del Negus Mesih (Re Messia) Qadamawi Haile Sellassie, legittimo discendente della stirpe di David, incoronato e consacrato con olio d’unzione il 2 novembre 1930 dalla Sacra Chiesa Ortodossa Tewahedo d’Etiopia con i titoli messianici di Re dei Re, Luce del Mondo, Eletto di Dio, il Leone ha prevalso dalla tribù di Judah.

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